Ma chi è Marìa Fux?

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               Grandi personaggi della cultura argentina

                        


         
Conosciamo insieme Marìa Fux

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Nasce a Buenos Aires il 2 di gennaio del 1922.


All'età di tredici anni comincia a prendere lezioni di danza classica con la maestra russa Ekatherina da Galantha e a quindici anni sale alla ribalta danzando la biografia di Isadora Duncan. Per dieci anni si esibisce in forma stabile al "Teatro del Pueblo" di Buenos Aires per diventare poi ballerina solista del teatro Colòn. La sua passione per il ballo la porta a cercare instancabilmente nuove forme di espressione corporea trasformandosi così nella pioniera della danzaterapia. La sua arte e il suo metodo rivoluzionario si diffondono in Argentina e nel mondo intero.
E' la passione per la danza che ha fatto diventare Marìa Fux una delle grandi figure della cultura argentina.



{ Una figlia danzatrice }

Mi muovevo dentro mia mamma, dentro la pancia di mia mamma. Mi muovevo già prima di nascere e una volta venuta al mondo mi sono resa conto, prima dei cinque anni, che volevo danzare.


Ho sempre amato tanto il movimento (molto di più delle parole) e la possibilità, attraverso di esso, di entrare in contatto con me stessa ma soprattutto con gli altri.


Mio papà nacque in Russia e così anche mia madre. Giunsero qui [in Argentina N.d.T.] da giovani, si sposarono e io sono la maggiore di sei fratelli.


Ai compleanni, invece di mangiare la torta, preferivo danzare; chiedevo che spostassero il tavolo per poter danzare per i presenti. Danzavo ciò che avevo dentro di me o le musiche che si ascoltavano allora.
In casa mia, specialmente per i miei genitori, l'idea o il solo pensiero di avere una figlia "ballerina" era come dire una parolaccia. Fin dall'inizio mio papà si opponeva, non voleva che entrasse alcunché di danza in casa nostra ma mia madre, che era una donna speciale (è stata lei il mio primo incontro con i "non posso" del corpo) mi ha sempre, sempre, aiutata. Quando, insieme ai suoi dodici fratelli, arrivò dalla Russia (noi siamo di origine ebrea) si stabilì con la sua famiglia a Buenos Aires. All'età di cinque anni le venne un'infezione al ginocchio e le asportarono la rotula. Di fatto aveva perciò sempre una gamba rigida; io sono la gamba che danza, io sono la gamba mancante di mia madre, che ha trovato la possibilità di comunicare con lei in un altro modo: attraverso il movimento.
Lei, per farmi i costumi da danza per i miei primi spettacoli, tirava giù le tende dalle finestre di casa. Mio papà era molto disgustato e non voleva saperne niente ma proprio niente di avere una figlia ballerina.


Lentamente le cose cambiarono, tappa dopo tappa e attraverso la mia crescita, ho imparato a non essere arrabbiata con lui e ho cercato di mostrargli, a papà, che attraverso la danza poteva esistere un altro mondo, un mondo meraviglioso che era il movimento. Papà lo ha compreso il giorno che è venuto a vedermi al teatro Colòn: quel giorno ha pianto e mi ha chiesto perdono.


{ I maestri interiori }

Non avevo denaro per potermi permettere una maestra di danza. Frequentavo un'associazione teosofica, non che fossi interessata alla teosofia, ma lì c'era un piccolo palcoscenico. Danzavo senza musica quando, come accade nelle fiabe, mi notò una persona che mi avrebbe aiutata intuendo che possedevo qualcosa di molto speciale. Le dissi che mi sarebbe piaciuto prendere lezioni di danza e mi rispose che mi avrebbe dato una mano. Come? Venni a sapere di Ekatherina De Galantha che era una ballerina russa venuta con la Pavlova molto tempo fa e da così lontano, la quale aveva uno scuola nella Calle Posadas. Raccontai tutto alla persona amica che desiderava aiutarmi e che così mi portò a quella scuola di danza. 


Per un anno pagò i miei studi; quando non gli fu più possibile perché doveva provvedere alla madre malata parlai con Galantha. Le dissi che avrei fatto qualsiasi cosa pur di continuare a studiare. Mi chiese se fossi disposta a fare le pulizie, pulire i bagni, ecc. Io acconsentii e fu così che mentre perdevo l'opportunità datami da questa persona che pagò un anno intero ho cominciato a lavorare lì senza interrompere i miei studi.
Completai tutta la mia formazione lavorando da lei per dieci o dodici anni ma nello stesso tempo, siccome leggevo molto (libri in prestito), seppi di Isadora Duncan e dell'esistenza di scuole differenti, di danza contemporanea. Mi informai e dentro di me cominciò a prendere forma il desiderio che avrei poi realizzato: non fare danza classica, non ballare sulle punte.


Mi appassionò moltissimo la verità con cui Isadora Duncan portò avanti la sua ricerca. Dissi che mi assomigliava come una sorella, anche più di una sorella. Mi ha insegnato che potevano esistere altre strade per incontrare il movimento.


L'ho sempre tenuta presente come un esempio di libertà e di generosità, di sentire che ciò che faceva le apparteneva veramente. E' una bella immagine di come, "guardare un albero e sentirne le foglie che si muovono nel vento", dà un ritmo fruibile per il movimento. Ho appreso così, nel silenzio, che ciò che si vede con gli occhi si può danzare.


{ Altri cammini per il movimento }

Ero costantemente alla ricerca di un palcoscenico, volevo sempre fare spettacoli. Sapevo del Teatro del Pueblo e andai a parlare con Leònidas Barletta, il suo direttore, che mi domandò chi fossi. Gli risposi che se mi avesse dato accesso al palcoscenico avrei potuto presentarmi. Danzai nel silenzio ciò che stava accadendo dentro di me: desideravo amare lo spazio, desideravo esprimermi, desideravo danzare. Si mostrò interessato. Mise a disposizione il suo teatro e mi chiese se avessi pubblico. Gli risposi di sì, di avere una famiglia numerosa e cominciai proprio con loro. I miei primi spettatori furono proprio i miei familiari. Mia madre fece i costumi e debuttai al Teatro del Pueblo. Feci uno spettacolo aderente a come mi sentivo in quel momento. Avevo la passione che si ha quando sappiamo di percorrere la strada che ci appartiene. Feci la mia rappresentazione e Barletta mi disse che potevo farne un'altra. Trovai così nel Teatro del Pueblo un luogo dove esibirmi e dove ho avuto il tempo e la fortuna di sentire occhi su di me che ammiravano ciò che facevo sul palco. Ciò mi ha dato molta forza e ringrazio infinitamente Barletta: è stata la prima persona che ha riconosciuto che dentro di me c'era qualcosa in più del movimento.


{ Danzando per il mondo }

Nel 1955 mi hanno invitato a danzare per i giovani di Varsavia. Sono partita, con mio figlio di dieci anni, in un piroscafo dove ho fatto ballare ogni passeggero e nel quale ho imparato a convivere con gente sconosciuta, nel corso di un viaggio che mi portò a Le Havre, da lì proseguendo in treno e infine con un altro treno fino a Varsavia dove mi sono esibita rappresentando l'Argentina. Ero stata scelta dal ministro della cultura del soviet (in quel momento c'era il socialismo in Russia), e mi disse che il suo interesse era sorto dopo avermi visto ballare una zamba argentina. Amo moltissimo il folclore: ebbi l'idea di portare con me un materiale straordinario, tutti i ritmi dell'Argentina interpretati da Los Abalos. Il ministro, dopo avermi rivisto, m'invitò a Mosca insieme a mio figlio per mostrare questa danza diversa dal balletto classico e da Isadora Duncan e sconosciuta per la gente di là. Questo era qualcosa di speciale. Mi hanno contrattato all'Hermitage e lì sono stata un mese intero esibendomi tutte le sere insieme a mio figlio (che partecipava ai miei spettacoli suonando la percussione con il bombo). Ero sul punto di accettare un altro invito per andare a danzare in Cina e parlai con Sergio, mio figlio, dicendogli che avremmo potuto proseguire. Ma prima volevo sapere da lui che cosa volesse fare. Lui rispose che gli mancava il suo cagnolino. Decisi quindi che era tempo di tornare in Argentina.


Al mio ritorno feci uno spettacolo per il Municipio di Buenos Aires. Mi vide il direttore del teatro Colòn e mi disse che gli sarebbe piaciuto avermi nel suo teatro. In quell'occasione danzai nel silenzio, Garcia Lorca e i classici attraverso la musica di Vivaldi: questo fu il mio spettacolo al Colòn (teatro che continuo ad amare...tutto questo ha profondamente segnato la mia vita: le paure che provavo di fronte a quello scenario e a quel luogo tanto speciale, mi aiutarono a recuperare le forze per realizzare lo spettacolo mentre mio papà mi stava guardando).



Mi rivolsi al Ministero della Cultura argentino. Avrei voluto fare una serie di spettacoli con vari soggetti. Mi assegnarono dodici date nel Chaco, non solamente a Resistencia ma anche in luoghi sperduti i cui nomi non avevo mai sentito nominare, ed io accettai. Si trattava di piccole località all'interno del Chaco. Per spostarmi mi portavano in un piper, un aereo piccolo così, che poteva sorvolare le zone alluvionate dato che non si poteva procedere via  terra. Io andavo. Portavo con me la mia musica e i miei costumi, nascosta in un angolino e morta di paura sentendo come si muoveva questo piccolo aereo. Arrivai in un posto, l'aereo atterrò e mi lasciò lì, un luogo desolato. Mi venne a prendere un camioncino. Salii sul camion e chiesi al conducente seduto accanto a me dove sarei dovuta andare a danzare. Mi rispose di aspettare...di aspettare...arrivammo a Quitilipi ma ancora non vedevo il palcoscenico. Infatti non c'era: avrei dovuto danzare in una specie di grande bar, come una sagra, dove la gente beveva. Dietro tutto questo c'era un piccolo palco di due metri per quattro.  Mi portarono due candelabri per illuminare la scena, collocammo la musica, mentre sentivo arrivare il mio pubblico: udivo l'abbaiare dei cani, il canto dei galli, la gente che arrivava chiassosa, che gridava, si sedeva. Uscii e annunciai che non avrei ballato sulle punte ma che avrei danzato "la parola", che avrei ballato un chamamè e che volevo offrire loro qualcosa di speciale che avevo portato con me, dentro al mio corpo. I galli non tacquero, i cani nemmeno, ma la gente sì. 
E così ho fatto il mio spettacolo.


{ Danza senza musica }

Credo con assoluta certezza che dentro al corpo esistano ritmi percepibili. Questa convinzione mi ha sempre aiutata a creare danza senza musica. Quando una mia amica ha avuto un bambina sorda mi sono resa conto che non conoscevo nulla del mondo del silenzio. In quel momento stavo danzando "quasi sulle nubi", all'Hogar Obrero nella calle José Maria Moreno, avenida Rivadavia, all'ultimo piano. Il Comune mi mise a disposizione una specie di ascensore, un palcoscenico, quasi nell'aria, e io danzavo quasi senza tenere parapetto. In questo spazio dove qualche volta utilizzai anche il silenzio per danzare, udivo le grida lancinanti della figlia della mia amica. Rimasi molto impressionata perché in generale i bambini al vedermi ballare rimangono tranquilli e ammirati.
Chiesi alla madre di portarmela per vedere se potessi farla sorridere e danzare. Si chiama Letizia. Era sempre desiderosa di vedermi danzare ma non si muoveva mai. Io mi mettevo addosso oggetti, colori, facevo movimenti per farle comprendere che poteva fare lo stesso. Mi sono accorta che per fare danzare qualcuno che non sente è necessario essere molto chiari e ciò che si dice deve essere molto semplice, perché questa persona sappia che il movimento le appartiene. Così ho scoperto la meraviglia del linguaggio attraverso le immagini ed attraverso le cose che ci circondano, entrando in quella parte della danzaterapia dove l'utilizzo del silenzio avviene mediante ciò che possiamo osservare fuori e dentro di noi.


{ Spostare il limite }


Mi hanno sempre interessato "i limiti". I miei limiti personali a anche i limiti degli altri. Ho imparato che le paure che proviamo quando diciamo "non posso" con il corpo, possono trasformarsi in "sì posso", attraverso il movimento o gli stimoli che io do. La danzaterapia è sorta attraverso quello che è la mia vita. Ricordando ciò che raccontai all'inizio su mia madre e sulla sua gamba che non si poteva flettere (non aveva la rotula) ho imparato che giustamente, una persona come mia madre, poteva svolgere molte cose meravigliose che tanta gente con le gambe a posto, che corre, balla e che si muove, non era in grado di fare. Ho appreso che i limiti che lei mi poneva quotidianamente si stavano sempre sviluppando, tendevano verso una possibilità, nel "sì posso". Così mi sono resa conto che le persone che venivano al mio studio di danza e mi dicevano che avevano questo o quell'altro problema e mi portavano certificati del medico:...io non capisco, non sono un medico, non sono una psicologa...sono una persona e un artista. Con l'arte ho compreso che il movimento fa cambiare. La danzaterapia produce cambiamenti molto grandi nel corpo che comincia lentamente a dire "sì posso" attraverso il movimento. E' un lavoro che continuo a portare avanti, sempre cercando di comprendere, provando a "dare" e sentendo che i limiti si possono spostare lentamente.


Nel Maitén, nel sud della Patagonia, hanno trovato una bimba indigena che non parlava: era sorda. Una suora della Misericordia l'ha accolta con sé come una figlia. Un giorno in cui avevano bisogno di un apparecchio acustico, incontrarono un'altra bimba che stava anche lei acquistandone uno. La bimba intanto danzava. Allora la suora domandò come mai, da sorda, potesse ballare. Le dissero che infatti sì, era sorda, ma poteva danzare perché studiava con Marìa, la sua insegnante, una ballerina. La piccola, che si chiamava Marìa anche lei, venne portata al mio studio di danza, un sabato mattina, giorno in cui svolgo l'incontro integrato con giovani con più o meno problemi. Accanto a questa creatura, che è poi cresciuta al mio fianco e dalla quale ho appreso, guardando i quaderni, che possibilità avesse di relazionarsi con il linguaggio, ho imparato non solo come si lavora nel silenzio, integrando nella vita le varie diversità ma imparai tanto sull'importanza, per me e per lei, d'incontrare il movimento.



E' rimasta con me per dieci anni. Ogni volta aveva maggiori possibilità di linguaggio per esprimersi. Evidentemente quando si giunge alla conoscenza più profonda che è il corpo in movimento, tutto ciò rimane e non può più essere dimenticato. La ricordo, la amo, le voglio bene, questa è una delle tante storie che nella vita mi hanno commosso e in cui ho imparato che "sì, si può".


Ho avuto una vita ricca, bella, piena di difficoltà e di enorme allegria.
So bene che all'interno di ciò che sono c'è un segreto che appartiene a tutti, che è il movimento. Fare le cose più autenticamente possibile, dicendo la verità e danzando.


Tutto quello che ho fatto e che continuo a proporre è rivoluzionario. I miei spettacoli verranno criticati dai gruppi di danza contemporanea o di danza di altro tipo. Ma ho seguito la mia vocazione.


Si ringrazia Canal Encuentro di Buenos Aires e la danzatrice Marìa Fux.
Traduzione di Valentina Vano

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